L'unica volta che ho incontrato Pietro Taricone, mosso dalla curiosità adolescenziale di conoscere questa stella che aveva imparato a brillare della luce propria e non di quella dei divanetti su cui si accomodano i tronisti, lui mi spiegò per filo e per segno la sua concezione della vita. Andava morsa, vissuta senza negarsi il rischio e, se serve, bruciata in un attimo. L'importante, mi disse a proposito della sua passione per gli sport estremi, è non pentirti di ciò che hai fatto: se sali su un aereo e ti butti di sotto, assumi sulla linea rossa della tua biografia quella quota di rischio che è ingrediente naturale dell'ebbrezza. Come il telegrafista di Antoine de Saint-Exupéry, come Patrick de Gayardon, di cui parlava con gli occhi densi di ammirazione. Non pensava certamente a se stesso, ragionando di rischi estremi, Taricone, ma tant'è.
Mentre parlavamo, e si scherzava sui maschi ormai acconciati a scambiare la virilità con la ceretta, riflettevo su quando, accompagnati proprio da Taricone, noi telespettatori della prima edizione del Grande Fratello venivamo inconsapevolmente traghettati dallo stadio neotelevisivo a un altro, non meno indefinito, della televisione-reality che letteralmente si appropria delle esistenze, dei corpi e spesso dei sentimenti di chi la interpreta. Facevo parte, dieci anni fa, assieme a moltissimi, di quelli che, in un doppio passo della morale, guardavano incantati quella prima, inimitabile generazione di animali da reality, il cui spontaneismo era così diverso da quelli che oggi entrano nelle case e nelle fattorie e sanno già con quali pose devono recitare, e poi correvano subito a parlarne malissimo, tanto per mettersi la coscienza a posto. Poi, in tantissimi ci siamo dovuti ricredere velocemente, e non solo per la bellezza sovrumana della sua compagna di vita. Abbiamo scoperto questo ribelle, «idealista di destra per aver letto Nietzsche alla dannunziana», che diceva di voler vivere come i samurai.
Roberto Alfatti Appetiti, addirittura, dopo la sua recitazione ne La nuova squadra, l'aveva candidato a «ministro dell'interno scamiciato e irregolare» del PdL. Ma non è mai stato facile arruolarlo: nel 2002, Davide Ferrario volle immaginare un film biografico sulla storia di Taricone, Parabolico, esplosivo e antitelevisivo ma, lamentò il regista, non se ne fece nulla perché era un film critico del berlusconismo.
Intanto, indossando la divisa di soldato o i panni di un ispettore di polizia o quelli, più recenti, dell'opinionista televisivo di mestiere indignato, Taricone ha continuato a scartare gli arruolamenti e a fottersene delle etichette. «Ciao Pietro, ci manchi già» è il messaggio che ieri gli ha spedito in una bottiglia piratesca Casa Pound, il covo della destra non conformista che Taricone stava aiutando a metter su il gruppo di paracadutismo sportivo. Pietro era piombato lì, una sera, a un convegno su Bombacci, spiegando subito che «Casa Pound mi piace moltissimo, mi affascina l'idea del "fare" a prescindere dalle ideologie». Se esistono le icone pop-guerriere, da ieri ne abbiamo perso una delle più belle.