Certamente il Cav ha perso, e di brutto. Lo ha ammesso anche lui, con franchezza e senza trovare una maschera per nascondere l’insoddisfazione. Ha perso, embé? E dunque? Voglio dire: anche il più cocciuto degli antiberlusconiani deve ammettere che finora abbiamo assistito solo alla pars distruens di un processo politico. Tutte le energie dell’Italia anti-Cav si sono concentrate sulla liquidazione dell’ondata maggioritaria, sulla denuncia delle promesse mancate, e hanno tratto gran vantaggio dalla scelta di sradicare le sfide comunali dall’ordinaria amministrazione per spingerle sulla verifica plebiscitaria del tocco carismatico del capo del governo. Il quartier generale è stato bombardato con discreto successo, sono state espugnate importanti roccaforti ivi compreso il campobase del berlusconismo, Milano. Il Pdl è un sobbollire sentimenti che alternano paura, indisposizione, risentimento, opacità organizzativa. La Lega con le parole punta i piedi nell’immediato presente governativo e con la testa immagina ipotesi di un futuro di padana autonomia. Il Cav, fa pure noia ripeterlo, ha sbagliato la campagna elettorale, forse pure mal consigliato da mal consiglieri. Ha cavalcato quello che gli strateghi americani chiamano negative campaigning, il registro della paura, le metafore della cittadella assediata, la mobilitazione del risentimento, codici retorici che si sposano male con la storia del berlusconismo, al limite tacciabile di un ottimismo a prescindere e, in svariati casi, fuori luogo. E soprattutto, dentro e fuori il perimetro della politica di partito, sono emersi nella loro nitidezza dei nodi problematici che le alchimie parlamentari, le scomposizioni e ricomposizioni della maggioranza, avevano tenuto nascosti e messi al sicuro dentro le mura della sovranità popolare da non calpestare e della volontà degli elettori da non tradire. La storia di queste elezioni racconta che un sacco di elettori sono rimasti e casa, e qualcun altro ha scelto magari di esprimere un voto inautentico, una cartolina di avviso spedita per segnalare un disagio. Adesso è pure troppo semplice, per chi avvertiva nel centrodestra la necessità di una rigenerazione, dire: l’avevamo detto, se la crisi estiva del PdL fosse stata gestita diversamente a quest’ora non si osserverebbe l’alta marea arancione che urla di voler “liberare” l’Italia. Ma fino a questo punto, siamo ancora nel perimetro destruens del vecchio ordine che scricchiola. Anche volendo dare per buona l’ipotesi di un declino certo del berlusconismo dopo diciassette anni di egemonia fragile e guerreggiata, non esiste al momento una qualche ipotesi davvero percorribile per uscire dalla crisi. Il Cav ha il cavallo zoppo, e dunque? Nelle piazze festanti del centrosinistra si respira l’aria del ritorno alla “gioiosa macchina da guerra”, e il conseguente rischio di scivolare sulla buccia di banana di un trionfalismo che ha già stampato il segno della vittoria sul prossimo calendario elettorale: chi fa più rumore di vittoria non è il Pd ma i dipietristi e Vendola, e questo qualcosa significa. Il Terzo polo è in una fase di assestamento della propria identità politica e organizzativa di centrodestra “alternativo” che non può limitarsi all’obiettivo di sgangherare la megamacchina berlusconiana. La maggioranza di governo, sia il PdL in apnea sia la Lega in tachicardia, sono evidentemente impreparati a gestire un futuro postberlusconiano, anche se questa ipotesi – prima considerata un certificato di tradimento – comincia a farsi strada senza per forza dover scomodare catastrofi e apocalissi. Il crollo c’è stato. Le macerie ostruiscono la visuale. Il Cav ha scoperto la vincibilità. E dunque?