martedì 4 settembre 2012

Se gli italiani emigrano di nuovo...

La valigia non sarà più di cartone, ma avrà le rotelle. Il viaggio in treno di 48 ore sarà sostituito da un volo low cost, magari da aeroporti scomodi e a orari infami. E al posto delle melanzane sott'olio della mamma si avrà diritto a una pizza riscaldata al micro-onde dalla hostess. Lo si potrebbe chiamare «Pane e cioccolata 2.0», un fenomeno che non era mai veramente andato via ma ora riemerge. Gli italiani tornano verso i Paesi di lingua tedesca. Non lo fanno solo quelli che per brevità e autofustigazione chiamiamo «cervelli», come se tutti gli altri non lo avessero. Lo fanno le ragazze e i ragazzi di quella che chiamiamo «generazione 2.0», per non definirla più propriamente «generazione 35%» (di disoccupati).
 
I dati della Bundesagentur für Arbeit, l'agenzia tedesca del lavoro, lasciano pochi dubbi sul fatto che si tratti di un fenomeno strutturalee non di un blip su un andamento per il resto piatto. L'accelerazione, dal 2009 al 2011, è netta. La sostanza è che in questi due anni l'aumento dei lavoratori italiani in Germania, in percentuale, è pari a quello degli lavoratori in arrivo dalla Grecia. Più 6,4% per questi ultimi, più 6,3% per gli italiani. Alle spalle gli ellenici hanno un Paese nel quale la disoccupazione ufficiale è attorno al 23%, mentre in Italia supera appena il 10%. Ma in entrambe le economie solo un cittadino su tre ha effettivamente un posto, segnala Eurostat, dunque l'andamento parallelo nelle migrazioni verso Nord non è poi così strano.
 
Soprattutto, il ritmo dei flussi verso la Germania appare in crescita sempre più rapida sia per gli italiani che per i greci, ma anche per spagnoli e portoghesi. Gli europei del Sud riprendono le strade battute dai loro nonni, per le stesse ragioni. All'inizio della crisi, nell'anno di crollo seguito al crac di Lehman Brothers, era un piccolo rivolo di uscite (più 1,7% di italiani e spagnoli in Germania nel 2010). Nel 2011 è diventato un flusso pronunciato, più 4,47% l'Italia e anche di più Spagna, Grecia o Portogallo. E quest'anno sembra un'esplosione dall'Italia verso la Repubblica federale di persone in cerca di lavoro. La Bundesagentur für Arbeit segnala 189.299 lavoratori italiani in regola con i contributi in Germania nel 2011 (8000 in più sul 2010) e ben 232.800 a maggio di quest'anno, un'impennata addirittura del 22% forse però dovuta in parte a un effetto ottico delle statistiche: possibile che molti lavorassero già nella Repubblica federale, ma sono stati regolarizzati solo negli ultimi mesi. Come che sia, è un'inversione di tendenza. Dai tempi di «Pane e cioccolata» in versione originale e fino a metà dello scorso decennio, era proseguito il graduale declino nella presenza dei lavoratori italiani in Germania. Il 2005 ha segnato il minimo a 171 mila. Poi il malessere economico decennale a Sud delle Alpi e gli choc successivi hanno provocato la ripresa delle abitudini di un tempo.
 
Pressati dal boom dell'export e dal declino demografico, i tedeschi fanno quanto possono per incoraggiare l'arrivo di nuova manodopera. Non è più il tempo della banda di Paese che accoglieva alla stazione i turchi destinati alle fabbriche del miracolo economico. Ma i distretti della meccanica, soprattutto in provincia, hanno sete di nuovi operai da formare. Spiegel scrive che solo nella regione metropolitana del Reno-Neckar, a sud-ovest, si prevede una carenza di manodopera specializzata per 35 mila unità entro il 2013. La Zdh, la confederazione tedesca dei mestieri che rappresenta elettricisti, edili o commercianti, è arrivata a contattare le congregazioni religiose in Spagna perché convincano i giovani parrocchiani a trasferirsi nella provincia profonda tedesca nell'Emsland o a Mannheim.
 
Molti preferiscono Berlino, che forse offrirà meno opportunità di lavoro ma ha locali più interessanti. Eppure questa recessione così feroce, così apparentemente cronica, spinge sempre di più un'intera generazione di italiani, spagnoli, portoghesi e greci al pragmatismo. Le sedi del Goethe Institut sono così subissate di richieste d'iscrizione che - fa sapere la scuola di lingua - «in molte sedi si è dovuta aumentare l'offerta». Come mostra il grafico qui sopra, l'aumento è a doppia cifra in tutta l'Europa del Sud. Italia inclusa. Dice il presidente del Goethe Klaus-Dieter Lehmann: «Sono i giovani che vogliono i nostri corsi, ma non per leggere Schiller in originale: vogliono migliorare le loro possibilità di trovare un lavoro».
 
Il Goethe Institut ha studiato con cura l'antropologia dell'iscritto medio sudeuropeo di nuova generazione. «Italia: principalmente giovani uomini, in maggioranza con una buona istruzione, che vogliono migliorare le loro prospettive di lavoro» (gli spagnoli invece, «fra i 20 e i 40 anni»). Non è uno sforzo inutile. Se qualche anno fa i professori insegnavano il vocabolario della teologia, della filosofia o della poesia romantica, adesso hanno introdotto corsi per il tedesco del settore meccanica e auto: lo hanno fatto per esempio a Torino, dove nell'ultimo anno le iscrizioni al Goethe sono cresciute del 26% (anche perché l'Italdesign di Giogetto Giugiaro è passata alla Volkswagen).
Altrove i corsi del Goethe, da Napoli a Barcellona, si concentrano sulle parole utili per infermieri, medici o laureati in legge. Nel capoluogo campano le iscrizioni sono cresciute più degli investimenti in Cina, e così anche a Milano; solo a Roma, in tutta l'Europa del Sud, sono rimaste praticamente piatte. Ma forse è proprio questo ciò che i tedeschi non potranno mai capire dell'Italia.