venerdì 31 dicembre 2010

BASTA RUBARE FUTURO AI GIOVANI

Da troppo tempo, ormai, nel passaggio da un anno all'altro siamo costretti a fare professione di “pessimismo della ragione” e “ottimismo della volontà”. Accade anche oggi. Ci lasciamo alle spalle il primo decennio del Terzo millennio, che qualche recente statistica ha avuto l'ardire e l'ardore di giudicare i “migliori anni della storia dell'umanità” per le conquiste tecnologiche, scientifiche e mediche. Un giudizio affrettato e, per molti aspetti, fuorviante. Le statistiche possono anche esaltare “le sorti Magnifiche e progressive” delle nuove tecnologie, ma la percezione che ognuno di noi avverte dentro è che il mondo è messo peggio rispetto a dieci anni fa. E così il nostro Paese. Sarebbe lungo l'elenco delle cose materiali che mancano o che non sono state realizzate in questi dieci anni. Ma l'indice più verosimile del peggioramento è dato da una percezione diffusa, da una sensazione collettiva che potremmo definire immateriale, e tuttavia più indicativa della ricchezza o della povertà materiali.

La differenza sta nel fatto che dieci anni fa avevamo tutti - individui e popoli, nazioni e continenti - meno paura del futuro. Entravamo nel nuovo Millennio con il coraggio e la voglia di affrontare nuove sfide, mentre oggi guardiamo a ciò che ci aspetta con sempre meno fiducia e molta più angoscia, nonostante le grandi conquiste tecnologiche, scientifiche e mediche. Non è solo questione di Pil o di tassi di disoccupazione, di debiti pubblici o di crac bancari, di contabilizzazione dei profitti e delle perdite. I tecnicismi delle politiche economiche nazionali e dei consessi internazionali possono tamponare le falle, ridurre i danni, evitare momentaneamente i crac, ma è ormai del tutto evidente che la crisi da smarrimento richieda altre terapie e altre risposte, soluzioni diverse e più strutturali rispetto alle crisi cicliche.

Se non ripenseremo a come possiamo e dobbiamo vivere su questo pianeta; se non riusciremo a riequilibrare anche con misure drastiche il rapporto tra risorse (non inesauribili) e consumi; se non saremo capaci di rallentare, fino a invertire, la folle corsa verso una crescita infinita e illimitata; insomma, se non cambieremo modello di sviluppo, stili di vita, valori e modelli culturali oggi egemoni, la paura verso il futuro aumenterà. E non ci sarà politica economica che tenga.

Sembrava che la grande crisi globale degli ultimi anni avesse aperto gli occhi non solo a governanti ed economisti, ma anche all'uomo comune per un ripensamento profondo del modo di vivere e del modo di stare sul pianeta, ripristinando un corretto rapporto tra leggi dell'economia e leggi della natura. Un ripensamento reso sempre più necessario anche per risarcire le future generazioni, per lasciare loro un mondo dove costruirsi una vita, come hanno fatto le generazioni precedenti con noi. Ma quell'iniziale intuizione si è andata perdendo per strada. Continuiamo a rubare, giorno dopo giorno e anno dopo anno, dosi massicce di futuro ai nostri eredi; abbiamo pesantemente ipotecato le loro propettive e abbassato, fino ad annullare, i loro orizzonti scegliendo di vivere al di sopra delle
nostre possibilità e al di sopra delle possibilità consentite dall'ambiente.

Anche oggi, nei (vani) tentativi di superare con le “tecnicalità” la grande crisi economica, continuiamo a mostrare - come generazioni adulte - il lato più egoistico ed egocentrico, a tutto svantaggio di chi ci succederà. E senza pudore, mostriamo pure di indignarci quando i nostri eredi, che hanno definitivamente capito che cosa riserverà loro il futuro, ci presentano il conto - a Londra come a Roma, a Parigi come ad Atene - con tutta la rabbia che hanno accumulato.

In questo scenario globale non proprio esaltante, l'Italia è sempre più risucchiata nella spirale del declino, in parte intrecciata a quella che stringe l'intero Occidente, in parte alimentata dai suoi ritardi storici e dal deficit di governo che da sempre la contraddistingue. Per troppo tempo siamo rimasti impantanati nella frattura berlusconismo- antiberlusconismo senza che nessuna seria e vera riforma - al di là della propaganda - abbia spinto il Paese a modernizzarsi. Il bilancio fallimentare dei governi di centrodestra e dei governi di centrosinistra spingerebbe in paesi normali a cambiare in fretta e con decisione pagina, a riformare (non necessariamente ad abbandonare) un bipolarismo che ha mancato finora la sua missione.

Prevalgono, invece, i tatticismi, i trasformismi, i politicismi anche tra quanti hanno professato in questi anni - producendo, invero, molti guasti e provocando molti guai alla democrazia italiana – l'antipolitica.
Nell'ultimo anno, come nei precedenti, tra scandali a palazzo, rotture fratricide nell'ex maggioranza, voti di fiducia al fotofinish e vergognoso mercato dei parlamentari, di tutto si è parlato tranne che dei problemi veri del Paese. E tutto lascia prevedere che nei prossimi mesi lo scenario non cambierà. L'unica forza politica che continua a incassare i più sostanziosi dividendi del governo è la Lega, non a caso il solo partito a non temere, anzi a invocare le elezioni anticipate per rafforzarsi ulteriormente. Quest'anno si è portata a casa, a tutto danno del Mezzogiorno, le quote latte, la grandissima parte dei fondi del Cipe per opere e infrastrutture nelle regioni e nelle città del Nord, il passaggio ad un federalismo fiscale più punitivo che solidale, colpo mortale per gran parte dei Comuni del Sud.

Difficile, dunque, essere ottimisti con la ragione. Si può e si deve esserlo, però, con la volontà, senza rassegnarsi al fato ma inseguendo in modo ostinato ciò di cui ha più bisogno in questo momento il nostro Paese. Prima di tutto, due grandi patti nazionali: un patto Nord-Sud che porti alla riunificazione vera dell'Italia e un patto generazionale, tra adulti e giovani, che garantisca un futuro a chi verrà dopo di noi. Patti che costano sacrifici e rinunce per tutti, soprattutto per chi ha già avuto e ha ipotecato il futuro delle giovani generazioni, in particolare quelle meridionali. Non sarà facile stabilire da dove cominciare, sappiamo però come cominciare. Ci ha aiutato nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, ancora una volta lungimirante nell'indicare la strada. Ha convocato al Quirinale una delegazione di studenti e ricercatori in lotta per ascoltare le loro ragioni, lanciando così un preciso messaggio al Paese: il futuro va deciso assieme a loro, non contro di loro. Va deciso insieme ovunque, in famiglia come nelle grandi scelte politiche. E con l'ottimismo della volontà. Auguri.

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