Coach quando è iniziata la sua avventura a San Pietro e quali sono state le sue esperienze?
Praticamente nel 1973, stato tra i promotori della U.S. San Pietro; con la squadra femminile qualche anno dopo, nel 1979. L’ho allenata dal 1982/83 fino al 1985/86 con la vittoria in Serie B (all’epoca terza serie nazionale); poi esperienze alla Fulgor Lecce (dalla Serie C alla B), Robur Ostuni (3 anni in B), Adria Brindisi(dalla Serie C alla B), Fulgor Monteroni (sempre in C femminile), Basket Club Galatina (C/2 maschile), poi una lunga pausa fino al ritorno a San Pietro nella stagione 2007/2008.
Obiettivo di questa stagione?
Sulla carta era stata costruita una squadra in grado di puntare ai playoff; infortuni, partenze per motivi di lavoro, difficoltà logistiche per allenarsi hanno ridimensionato di gran lunga i programmi.
A fine campionato è soddisfatto?
Le risponderò così: siamo riusciti a battere la squadra che poi ha vinto il campionato e, nella fase finale, abbiamo perso di due punti con la 2^ classificata, di un punto con la 3^ classificata e di tre punti in casa della 4^ classificata. Posso essere soddisfatto, però, della crescita delle giovani nate 1993 e 1994 messe in campo.
Che differenze ci sono con gli uomini?
Su questo argomento porto sempre un esempio: il ragazzo che ha litigato con la fidanzata viene in campo e si sfoga, la ragazza che ha litigato con il fidanzato viene in campo e va fuori di testa. Insomma le principali differenze sono di ordine mentale: più che un bravo allenatore devi essere un buon “psicologo”.
Pregi?
A me è sempre sembrato che le ragazze recepiscano prima gli insegnamenti tecnici, poi però hanno una lunga fase di stallo nella crescita cestistica.
Difetti?
Evidentemente ho sempre avuto la fortuna di allenare dei gruppi senza difetti evidentissimi.
L’episodio più strano della sua carriera?
Nel 1991, nella partita di esordio sulla importante panchina della Robur Ostuni a Trapani, misi in panchina e la lasciai fino a fine gara la giocatrice più rappresentativa, perché aveva redarguito platealmente le compagne. Presidente su tutte le furie per la mia “dimenticanza”; ma dopo quell’episodio compattammo un gruppo eccellente, facemmo 18 vittorie e 3 sole sconfitte (perdemmo la A/2 solo in un terribile spareggi). Per inciso, quella giocatrice (ora affermata coach) è ancora oggi una mia carissima amica.
Cos’è più facile con gli uomini?
Stimolare il loro orgoglio.
E con le donne?
Farle sentire parti importanti di un gruppo coeso.
Qual è la strategia per tenere a bada questi esseri incomprensibili?
Non credo esista una strategia vincente. Personalmente sono molto duro ed esigente in campo, ma estremamente disponibile appena se ne esce fuori. Chi apprezza questa duplice veste di allenatore dentro e amico fuori riesce a darmi un qualcosa in più. Certo, non sempre riesce…
E’ vero che le giocatrici subiscono il fascino del coach?
Nel mio caso, considerati i miei 58 anni, subiscono magari un affetto paterno.
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